A cura di Francesca Girardi

All’interno del progetto Obiettivo nuove generazioni, si è parlato di approccio biopsicosociale, intendendo con tale espressione il considerare la salute non più solo come mancanza di sintomo, bensì come dimensione di benessere che coinvolge il fisico, la mente, le emozioni.

Ora diamo luce a un altro aspetto, forse ancora più a tutto tondo: umanizzazione della cura. Se ne sente parlare molto spesso, e le parole richiamano lo sguardo più ampio, rivolto sia alla malattia sia al percorso di cura. Quest’ultimo in alcune patologie neurodegenerative progressive, come il Parkinson, non ha una fine, bensì si sviluppa e si modula parallelamente al percorso di vita.

Cosa si intende oggi con umanizzazione della cura?

L’espressione richiama la dimensione umana, che non deve mai smarrirsi in ambito clinico, e richiama un coinvolgimento a 360° che pone la persona il più possibile al centro. Nella pratica clinica viene sempre più fatto presente, e promosso allo stesso tempo, quanto sia rilevante essere accanto alla persona nell’accoglierla, nell’informarla, nell’accompagnarla. 

L’assistenza a chi si trova coinvolto in un lungo percorso di cura, che diventa a tutti gli effetti parte integrante della propria quotidianità – così come lo diventa il caregiver, figura altrettanto centrale in questo cammino – si declina nella capacità e abilità di vedere gli aspetti medici e trovare la modalità attraverso cui sviluppare al meglio l’efficienza degli stessi.Il sistema sanitario offre oggigiorno tante possibilità, ma al contempo, altrettante sono le criticità che minano l’ampia disponibilità raggiunta.

In passato il medico generico, o meglio noto come medico di famiglia, era la persona di fiducia, sapeva tutto dei propri pazienti – non solo dal punto di vista clinico – ed era abile anche nella relazione stessa. Relazione, tassello del processo di umanizzazione della cura in quanto umanizzare non appartiene esclusivamente all’ambito sanitario, bensì è valore aggiunto per il bene collettivo, una risposta al bisogno della società. 
(cfr. Fabrizio, Turoldo. Etica e umanizzazione delle cure. Atti del VI Congresso Nazionale della S.I.B.C.E., Padova, Grafica Veneta S.p.A., 2007, p. 27)

Relazione: indispensabile.

La relazione con i pazienti, con le persone in generale, richiede impegno, fatica, tempo e consapevolezza. Così come è si è sempre più certi che l’approccio multidisciplinare a un percorso di cura sia la via da seguire e sviluppare, parallelamente non si deve perdere l’interscambio di informazioni, sia tra paziente e sistema sanitario, sia tra i membri di suddetto sistema. 

Oggi sappiamo che il paziente non è più il destinatario passivo della cura, bensì ne è parte attiva; la diagnosi rappresenta un cambiamento del proprio stato di salute  che porta delle ricadute sulla propria sfera di affetti, di abitudine – anche quelle lavorative – e non ultime, la propria emotività. Riporto di seguito una citazione a testimonianza di quanto appena scritto:

“…A ben vedere ogni singolo gesto che compiamo verso un altro contiene aspetti di cura: essere attenti, ascoltare, non invadere, non umiliare, non sopraffare sono nomi di prendersi cura dell’altro nelle vicissitudini normali del quotidiano… Per questo non solo le relazioni cliniche, ma ogni relazione è un contributo alla speranza”…e ancora “… Ogni relazione è la cura… Non c’è cura se non c’è relazione interpersonale
(cfr. Curare ed essere curati (a cura di Enrico Peyretti), Servitium, n. 161, settembre\ottobre 2005 in Fabrizio, Turoldo. Etica e umanizzazione delle cure. Atti del VI Congresso Nazionale della S.I.B.C.E., Padova, Grafica Veneta S.p.A., 2007.)

Certamente la consapevolezza verso la relazione come ago della bilancia paziente-sistema sanitario è sempre più presente e il cammino da fare è ancora lungo. In egual misura, tanti step sono stati fatti: pensiamo all’inserimento del codice argento, un’attenzione in più verso i fragili o chi si trova a convivere con situazioni sanitarie quotidiane complesse, e al progetto che l’Associazione sta seguendo nel realizzare l’ app TreC Parkinson, che mette al tavolo dei lavori – quindi in stretta relazione – sia la persona direttamente coinvolta, sia il caregiver, sia l’équipe medica che delinea il percorso di cura.

In fine dei conti innovazione, ricerca, sanità, salute, società: sono tutte maglie di un’unica rete che attraverso relazione, comunicazione, dialogo si appresta ad essere il più collaborativa possibile per un obiettivo comune: prendersi cura dei bisogni collettivi.